Onore, Onori, Onorificenze e Patacche

 

 

 

Carlo Tibaldeschi*

 

 

Quand’ero poco più che bambino mi girava per le mani un libriccino delizioso di carattere educativo, scritto sotto forma di apologhi ove spesso animali e cose inanimate tenevano luogo di personaggi.

Uno di questi raccontini che vedeva tra i suoi protagonisti il fuoco, si concludeva con il fuoco stesso che, spegnendosi con uno sfrigolio, diceva: "Macché onore, è la vilissima reputazione!".

Non seppi allora cogliere l’insegnamento, ma esso tuttavia mi tornò alla mente anni dopo quando ebbi chiaro che onore e reputazione sono termini e concetti associabili ma indipendenti, talvolta in relazione per il fatto che la reputazione può procacciare onori che nulla hanno a che fare con l’onore.

Quante volte ciascuno di noi si è trovato a salutare qualcuno con un "Buongiorno Cavaliere!" e quanti dei lettori si sono sentiti riverire allo stesso modo! Forse pochi però, storditi dall’abitudine alle cose, hanno posto mente al senso vero e reale di questo epiteto. Già, perché "cavaliere"?

Il cavaliere esiste da quando l’uomo ha stabilito il suo specialissimo consorzio con il cavallo. Un uomo a cavallo si trova in una condizione di vantaggio rispetto all’appiedato: può guardare le cose dall’alto in basso e godere di un orizzonte più vasto; in guerra si sposta più velocemente, possiede una maggiore forza d’urto, sovrasta l’avversario che combatte a piedi.

Trasformare, con un facile traslato, un vantaggio materiale in una superiorità morale è quasi ovvio. Ma c’è di più: il possesso di un cavallo implica una certa agiatezza e disponibilità di mezzi e pertanto a conferire al possessore del cavallo, cioè al cavaliere, una stabile distinzione sociale il passo è breve. Un fatto simile si riscontra in tutte le popolazioni del mondo, nomadi o stanziali, ma in modo speciale in quelle presso le quali il maneggio delle armi era tenuto in particolare considerazione.

In epoca romana infatti la cavalleria militare possedeva non solo caratteristiche rilevanti sul piano tattico, ma pure rivestiva un ruolo di particolare prestigio nella struttura sociale. L’ondata della invasioni barbariche portò con sé un’ulteriore esaltazione del valore guerriero del quale la cavalleria appariva l’espressione più completa ed elevata.

Nei secoli successivi alla caduta dell’impero romano d’occidente, e specialmente con l’affermarsi di quella particolare configurazione della società indotta dal feudalesimo nei secoli X e XI, la figura del cavaliere si venne caricando di significati, di funzioni e di implicazioni assai più vaste e profonde, e la Cavalleria divenne un istituto della massima importanza; importante a tal punto che non era consentito l’accesso a certe cariche pubbliche senza che prima si fosse stati armati cavalieri.

Al rango di cavaliere non si giungeva peraltro tutto d’un botto, ma solo dopo avere seguito una lunga preparazione attraverso i ruoli di paggio, prima, e poi di scudiero. In tale preparazione era determinante l’opera della Chiesa, che con il suo messaggio cristiano intendeva offrire modelli spirituali all’esuberanza pagana e barbarica dei tempi e nello stesso tempo aggregare tutte quelle energie incanalandole verso la costruzione di una società più stabile e consapevole.

Il cavaliere, che era nato come "animale" militare, illuminato dai princìpi del cristianesimo diventava dunque un essere mosso dai più alti sentimenti di giustizia e di onore, pronto a dare il proprio sangue per una giusta causa, disposto a difendere la vedova e l’orfano, risoluto ad assumere qualsiasi impresa per ardita o rischiosa che fosse e ad affrontare con animo saldo tutti i pericoli, anzi a ricercarli con lo stesso ardore con il quale si corre dietro ai piaceri. Tuttavia il persistente spirito individualistico e l’orgoglio dei singoli cavalieri ebbero motivo di stemperarsi e di dissolversi in un ideale comune soltanto al tempo delle crociate. Solo in quel momento un sentimento più puro e più elevato si impadronì di tutti e si sostituì all’iniziativa sporadica e disorganica dei singoli. Lo spirito cristiano che già permeava di sé l’animo e l’azione del cavaliere trovò nuovi argomenti e nuova forza nello spirito crociato.

Sorsero così nei Luoghi Santi delle aggregazioni di Cavalieri il cui scopo non era solamente quello squisitamente militare della difesa materiale dei luoghi stessi e della protezione dei cristiani residenti, ma anche quello dell’assistenza ai pellegrini ai quali veniva dato ricovero, protezione e cura durante la loro permanenza in Terra Santa. Questo particolare aspetto si esprimeva ed accresceva alla luce della pietà, del sacrificio e del timor di Dio, ed anzi i Cavalieri sentirono presto la necessità di fissare secondo una regola ben definita le caratteristiche della loro attività. In tal modo quelle associazioni ormai strutturate in veri Ordini cavallereschi andarono assumendo connotazioni dapprima consonanti con lo spirito e successivamente del tutto partecipi dei caratteri degli ordini monastici. Essi presero così il nome di Sacre Milizie o Religioni Militari. Quelli sorti in Gerusalemme furono detti Gerosolimitani e taluni, per il loro pronunciato carattere assistenziale, fecero proprio anche il nome di Ospitalieri. Secondo queste modalità presero vita in Terra Santa gli Ordini di San Giovanni di Gerusalemme, dei Templari, del Santo Sepolcro, di San Lazzaro, di Santa Maria detto Teutonico e numerosi altri.

Gli Ordini così costituiti erano in genere retti da Gran Maestri nominati dai rispettivi Capitoli Generali. Essi venivano dotati di lasciti e donazioni di privati e di sovrani sia in Oriente che in Europa e questo fatto li trasformò in organismi assai ricchi e potenti.

Nell’Europa Occidentale, ove la difesa dei territori e della religione cristiana giustificava la lotta contro i Mori, sorsero per iniziativa di sovrani o di nobili di rango altre Sacre Milizie assoggettate anch’esse a regole monastiche e pertanto autorizzate e riconosciute dai Pontefici. Così in Spagna ed in Francia comparvero gli Ordini di Alcantara, di Calatrava, di San Giacomo della Spada, della Beata Vergine della Mercede ecc. Anche in Italia si costituì ad Altopascio l’Ordine dei Cavalieri di Altopascio detti del Tau, con il compito di raccogliere i viandanti, assistere i pellegrini infermi, risanare vie e ponti ecc.

La Chiesa promosse e protesse queste istituzioni dalla duplice fisionomia religiosa e militare. Nella più gran parte dei casi esse erano, sì, sorte per iniziativa privata, ma proprio per il porsi degli associati all’obbedienza di una regola monastica, diveniva necessaria l’approvazione della Santa Sede. Per le loro caratteristiche istitutive infatti questi Ordini, che tra l’altro richiedevano per l’ammissione la sussistenza di uno status nobiliare, furono riuniti sotto la denominazione generale di Cavalleria Militare o Cavalleria Regolare.

Gli ordini cavallereschi quindi si costituirono ed ebbero ragione di sopravvivenza, almeno in origine, soltanto in forza dell’approvazione ecclesiastica, che in tal modo manifestava il sussistere di un potere spirituale posto al di sopra di qualsiasi potere temporale; ed in effetti quasi sempre tali ordini furono riformati o soppressi dall’autorità dei Pontefici. Soltanto più avanti nel tempo, ossia ad iniziare dal XIV secolo, nacquero istituzioni cavalleresche volute da sovrani temporali a motivo di pietà religiosa o per celebrare avvenimenti particolarmente degni di memoria. Nacquero così gli Ordini della Giarrettiera, del Toson d’Oro, del Collare detto poi della SS.Annunziata e molti altri, tutti istituiti da sovrani che intendevano anche in questo modo dimostrare ciascuno la propria legittimità di Fons Honorum.

Tutti questi Ordini si rifacevano, nella struttura, agli Ordini cavallereschi preesistenti e quasi sempre avevano almeno esteriormente una fisionomia cattolica: portavano intitolazioni sacre o nomi di santi e conservavano relazioni di filiale devozione verso la Sede Apostolica cui chiedevano privilegi e favori spirituali. La Chiesa stessa si fece promotrice di simili istituzioni, considerata com’era suprema moderatrice della Cavalleria.

Col passare del tempo tuttavia l’evolversi della situazione politica europea, il mutarsi della cultura nel periodo del Rinascimento, l’avvento della Riforma e poi della Controriforma e l’affermarsi di grandi correnti di pensiero portarono la maggior parte di questi Ordini alla decadenza. Infatti mentre altri Ordini cavallereschi venivano ovunque costituiti e disciolti, si faceva strada un diverso modo di intendere la Cavalleria, ormai decaduta dal suo significato classico. Si venivano cioè istituendo Ordini che avevano lo scopo di ricompensare le benemerenze di singoli individui assimilando gli insigniti agli onori della Cavalleria Regolare, senza che tuttavia venisse imposta loro la soggezione ad obblighi o vincoli particolari.

I nuovi Ordini vennero così indicati con la denominazione generale di Ordini al Merito che costituirono così la cosiddetta Cavalleria onoraria.

I diversi modelli istituzionali proposti nel tempo trovarono la loro più completa espressione nella Legione d’Onore francese, un Ordine al quale si sono più o meno ispirati tutti gli Ordini successivi. Il riferimento formale degli Ordini nuovi alla struttura militare degli antichi Ordini che dividevano i propri appartenenti in categorie operative (cavalieri, cappellani e serventi), venne evidenziato dalla denominazione delle diverse classi di appartenenza che definivano gli insigniti Cavalieri, Ufficiali, Commendatori, Grandi Ufficiali e Gran Croci.

La classe dei Commendatori trae origine del fatto che gli antichi Ordini, per fare fronte alle spese necessarie al conseguimento dei loro fini (mantenimento di cavalieri, cavalli e serventi; costruzione di stabilimenti, ospizi, ospedali, conventi e navi), si avvalevano delle donazioni che persone di qualsiasi ceto e condizione facevano per fervore religioso o per lucrare indulgenze. Parimenti le donazioni potevano venire da cavalieri che cedevano all’Ordine le loro proprietà conservando a titolo personale od ereditario il godimento dell’usufrutto e ricevendo dall’Ordine stesso prestigio e protezione. Tale tipo di donazione configurava la cosiddetta Commenda, e Commendatore era detto il beneficiario.

Come si è dunque visto la Chiesa di Roma rappresentò a lungo la fonte primaria o di appello di tutte le istituzioni cavalleresche. Solo più tardi, e in particolar modo a partire dalla Rivoluzione Francese, tutti gli Stati del mondo presero la consuetudine di istituire Ordini Cavallereschi al Merito aventi il valore di decorazioni e ricompense onorifiche.

Quanto si è detto sinora mette bene in evidenza come gli Ordini Cavallereschi debbano necessariamente promanare da un’autorità sovrana costituita e riconosciuta, in esercizio o in titolo, possedendo essi Ordini un carattere giuspubblicistico che li sottrae sempre e comunque a qualsiasi iniziativa privata.

Ma vediamo un po’ più da vicino come questi Ordini Cavallereschi possono essere classificati.

Va detto innanzitutto che dei molti e prestigiosi Ordini antichi sopravvive nella pienezza della sue attribuzioni di Religione Militare soltanto il Sovrano Militare Ordine di San Giovanni di Gerusalemme detto di Rodi detto di Malta, mentre ha carattere esclusivamente equestre l’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Sulla base di quanto pronunciato dalla Santa Sede in materia di Ordini Cavallereschi e riportato dall’Osservatore Romano nel 1935, nel 1953 e nel 1970, alcuni sopravvivono in forza del loro carattere dinastico, altri sono stati modificati dalla Santa Sede e trasformati in ordini religiosi od in ordini onorifici oppure soppressi con bolle pontificie. Altri ancora sono stati spazzati via da rivolgimenti politici.

Considerati dunque nel loro insieme e classificati secondo un criterio giuspubblicistico, gli Ordini Cavallereschi esistenti si dividono in:

- Ordini statuali. Sono la stragrande maggioranza e sono quelli che nell’ordinamento di uno Stato appaiono quali persone giuridiche pubbliche. Tali sono gli Ordini laici sorti nel XIX e XX secolo e denominati, come si è detto, Ordini al Merito.

- Ordini dinastico-statuali. Sono quelli già appartenenti al patrimonio araldico di una dinastia ed usati successivamente come parte del patrimonio araldico della Corona, ossia della istituzione monarchica che regge lo Stato indipendentemente dalla dinastia che ne detiene il titolo.

- Ordini dinastici. Quelli che non sono legati alla sovranità di uno Stato, ma alla prerogativa sovrana dello jus collationis connesso alla persona del Re (o suoi successori) e non necessariamente alla sua condizione di regnante. Tale prerogativa è conservata anche al sovrano non abdicatario in esilio.

- Ordini pontifici. Tali sono quelli che promanano direttamente ed esclusivamente dalla sovranità spirituale della Chiesa. Detta sovranità è superstatale e non legata al potere temporale. Infatti tra il 1870 ed il 1929 vennero conferiti titoli sempre ed ovunque riconosciuti. Gli Ordini pontifici sono assai più assimilabili agli Ordini di Merito che non alle antiche Religioni Militari.

- Ordini magistrali. Essi hanno un unico esempio nel Sovrano Militare Ordine di Malta il quale partecipa di due distinti soggetti giuridici come Ordine religioso e come Ordine Cavalleresco. In esso la sovranità, nella specie di persona di diritto internazionale, è un attributo della Religione in senso tecnico giuridico-canonico. Il Gran Maestro, capo della Religione e capo dell’Ordine, è, in unione con il Sovrano Consiglio, il portatore di detta sovranità. Per tale motivo, agendo fin dall’origine il Gran Maestro come un Principe Sovrano equiparato agli altri sovrani temporali, l’Ordine è detto Magistrale.

Dalla suddetta classificazione appare evidente che alla radice di ciò che si definisce Ordine Cavalleresco esiste sempre ed esclusivamente un potere sovrano: lo jus honorum possiede un carattere trascendente e pertanto non può che emanare da un’autorità sovrana legittima, costituita e riconosciuta. Per tutto quanto attiene al campo degli onori dunque si orbita costantemente nella sfera del diritto pubblico e perciò al di fuori di tale diritto non possono esistere Ordini Cavallereschi.

Sino a questo punto si è scritto della origine storica, della struttura e della collocazione giuridica dei vari Ordini Cavallereschi, ma come può l’uomo della strada distinguerli l’uno dall’altro?

Gli Ordini trovano la loro espressione esteriore nella fantasmagoria cromatica delle insegne, delle decorazioni e delle uniformi, quando prescritte, alle quali è legata almeno una parte del fascino che gli Ordini Cavallereschi sanno suscitare. In questo senso l’uomo del XXI secolo non è sostanzialmente diverso dal buon selvaggio incantato dalle perline di vetro colorato: quando si parla di un Ordine Cavalleresco il pensiero corre subito alle decorazioni che lo contraddistinguono, e l’importanza della loro apparenza è tanto grande che gli Ordini stessi furono in passato distinti in Ordini di Croce, Ordini di Collana e Ordini di Sprone.

La nascita degli Ordini Cavallereschi comportò infatti l’adozione di un emblema che indicasse il raccogliersi degli associati sotto un ideale comune e la soggezione ad una stessa regola, e poiché l’idea religiosa cristiana fu quella che presiedette alla costituzione dei primi Ordini fu ovvia la scelta della croce. Venne allora adottata la croce bianca dai giovanniti, la rossa dai templari, la nera dai teutonici, la verde dai lazzariti ecc. Le croci venivano ritagliate da un tessuto ed applicate oppure ricamate direttamente sui mantelli dai diversi colori dei vari Ordini.

Più tardi gli Ordini di nuova istituzione scelsero come distintivo collari di varie fogge oppure emblemi di altra natura, raffigurazioni simboliche o favolose, fregi araldici o altro. Poco alla volta invalse la consuetudine di appendere al collo od al petto tali emblemi ormai non più approntati con semplici tessuti ma con materiali preziosi e gemme.

La fondazione, nel 1578 ad opera di Enrico III di Francia, dell’Ordine dello Spirito Santo riportò in auge la croce che da allora comparve regolarmente come emblema fisso di tutti gli Ordini, tanto che un distintivo in forma di croce era inteso come riferentesi ad un Ordine Cavalleresco.

In prosieguo di tempo la necessità di premiare, specie in campo militare, persone non appartenenti alla religione cattolica ed il formarsi di un solido pensiero aconfessionale che ebbe il suo culmine con la Rivoluzione Francese, fecero sì che venisse messa da parte la simbologia della croce e che questa venisse sostituita, sul modello della Legione d’Onore francese, con emblemi a foggia di stella radiante a cinque o più punte.

Inserite in un occhiello, appese al bavero od al collo, portate solennemente a bandoliera o acconciate in placche radiose e appuntate sul petto, le decorazioni oggi vengono a costituire quell’insieme di barbagli e di incantamenti che tutti conosciamo ed al cui fascino non è facile sottrarsi. Un fascino sottile e inconfessato che vorremmo esorcizzare definendo grottescamente ma bonariamente le decorazioni "patacche".

Ma patacca nel linguaggio furbesco sta ad indicare una truffa che si applica agli ingenui ed agli sprovveduti. Poiché non esiste al mondo cosa ricercata ed ambita che non subisca contraffazioni, anche gli ordini cavallereschi sono oggetto di iniziative irregolari o di stampo decisamente truffaldino, sorte per accalappiare vittime per lo più ignare o disattente. Cosicché le oneste e legittimamente meritate "patacche" corrono il rischio di confondersi con le patacche vere e proprie propinate da industriosi pataccari ai quali le medesime procurano laute rendite.

Da molti decenni infatti, in Italia ed all’estero, sorgono associazioni di forma cavalleresca talora richiamantisi a rami di dubbia legittimità di antichi Ordini, tal’altra riesumanti Ordini realmente esistiti ma poi soppressi, tal’altra ancora intitolantisi ad Ordini di pura invenzione.

Nel recente passato la situazione in Italia si era venuta facendo così abnorme in conseguenza del costituirsi abusivo di ben 160 di tali pseudo-ordini che si dovettero dare precise disposizioni di legge. Con la legge 3 marzo 1951 n.178 istitutiva dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana veniva vietato il conferimento e l’uso di onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche da parte di enti, associazioni o privati, e venivano fissate le relative ammende per i trasgressori.

Nel regolare la materia, la stessa Legge 1778/51 si occupa in particolare all’art. 7 delle onorificenze conferite da Stati Esteri e da "Ordini non nazionali".

A proposito di questi ultimi, come precisato dal Pezzana in un circostanziato studio, elemento qualificante di un Ordine non nazionale è l’essere "riconosciuto come Ordine Cavalleresco da un ordinamento giuridico diverso da quello dello Stato italiano, e cioè o dall’ordinamento di uno Stato estero o da quello della Chiesa Cattolica o dal diritto internazionale…". Ciò vale pertanto anche per quegli Ordini appartenenti al patrimonio araldico di una famiglia sovrana o ex sovrana i quali debbono essere riconosciuti dallo Stato del quale il Capo dell’Ordine è cittadino.

Dapprincipio il Ministero degli Affari Esteri fu molto rigido nell’applicare tale norma, contrariamente alla magistratura civile e penale che in alcuni casi commise clamorosi errori sulla legittimità di alcuni sedicenti ordini.

Successivamente lo stesso Ministero, esaminando tali Ordini nella nota n.022/363 del 29 luglio 1999, individuava le seguenti categorie: 1) Ordini nazionali di Stati esteri, ossia facenti parte del patrimonio araldico di una Nazione; 2) Ordini Pontifici, ossia di emanazione del Sommo Pontefice; 3) Ordini dinastici nei quali il Gran Magistero è ereditario in una famiglia attualmente regnante; 4) Ordini dinastici nei quali il Gran Magistero è ereditario in una famiglia ex sovrana; 5) Ordini sovrani, nei quali la sovranità deriva o da antichi possedimenti con carattere di sovranità o dall’avvenuto riconoscimento da parte di Sovrani o di Pontefici; 6) Ordini Magistrali il cui Gran Maestro non discende da famiglia ex sovrana, ma nei quali il Gran Magistero è elettivo e non ereditario. Con successiva nota n.022/713 del 13 dicembre 1999, il Ministero degli Affari Esteri elencò alcuni Ordini per i quali il Ministero riteneva teoricamente concedibile l’autorizzazione all’uso delle relative onorificenze.

In tutti gli altri casi le organizzazioni che si definiscono "Ordini" sono da considerare mere Associazioni di diritto privato le quali, nell’ipotesi che conferissero onorificenze, decorazioni o distinzioni cavalleresche, dovrebbero essere sanzionate ai sensi dell’art.8 della legge 178/51. Tali aspetti estremamente interessanti della materia giuridica sono efficacemente trattati dal degli Uberti, attuale President/Chairman della Commissione Internazionale per lo studio degli Ordini Cavallereschi.

Poiché, come si è detto in precedenza, gli Ordini Cavallereschi riconosciuti sono e restano in tutti gli ordinamenti persone giuridiche pubbliche, non è possibile consentire a questi sedicenti Ordini di proporsi come istituzioni assimilabili a quelle. Negli Stati moderni infatti, dove il diritto pubblico in continua espansione tende ad imporsi su quello privato, non è ammissibile una dottrina politica di diversa tendenza. In questo caso infatti ne verrebbe un gran nocumento morale alle legittime istituzioni cavalleresche con lesione del prestigio dell’Ente sovrano che le garantisce.

Le ammende, piuttosto salate alla promulgazione della legge, non hanno tuttavia mai frenato la fantasia dei promotori di Ordini falsi i quali, in ogni caso, traggono dalle tasche degli insigniti somme considerevoli sotto forma di oboli per opere benefiche ed assistenziali, per diritti di cancelleria, tasse di ammissione o di passaggi di grado ecc.

La fantasia di questo tipo di eleganti malandrini si dimostra particolarmente fertile e sbrigliata nelle denominazioni degli pseudo-Ordini non peritandosi essi di mettere in campo Santi e Beati di ogni tempo e nazione, di scomodare Sante Vergini e Madonne delle più diverse provenienze, di innalzare croci di ogni forma, specie e colore, di confezionare corone nelle fogge più imprevedibili, di strapazzare principi e sovrani e imperatori e papi non importa se esistiti o meno, di riedificare templi di Gerusalemme e di ammantare il tutto con intitolazioni altisonanti a richiamo araldico, storico, geografico o di sapore vagamente iniziatico.

Anche la Santa Sede infastidita da questa continua e frenetica attività di sfruttamento emanava un comunicato comparso sull’Osservatore Romano del 21 marzo 1952 (che riprendeva analogo argomento pubblicato fin dal 1935 e che veniva riproposto il 24 luglio 1970) ove si dichiarava la totale preclusione a riconoscimenti di qualsiasi natura nei confronti di cosiffatte organizzazioni.

Le cose tuttavia non sembrano cambiare non solo in Italia ma anche all’estero, tanto che il governo francese si è visto costretto, con un decreto presidenziale del dicembre 1981, a rinnovare divieti ed ammende. L’autorevole rivista spagnola "Hidalguìa" nel marzo del 1983 tuonava contro questa mala consuetudine con un editoriale dal titolo "Come si fabbricano gli ordini falsi" dando di questi un elenco di 281 titoli!

È compito della Commissione Internazionale permanente per lo Studio degli Ordini Cavallereschi (International Commission for Orders of Chivalry) fondata nel 1960 mettere ordine in questa materia con lo stilare un Registro Internazionale degli Ordini Cavallereschi e dei sistemi premiali legittimamente istituiti in tutti gli Stati del mondo. Attualmente la Commissione ha ripreso il Registro Internazionale degli Ordini Cavallereschi del 1964 con lo scopo di rivedere con rigoroso criterio scientifico tutta la materia. Essa si propone di pubblicare entro il corrente anno 2002 un nuovo Registro Internazionale degli Ordini Cavallereschi e dei sistemi premiali con le nuove suddivisioni proposte in occasione della Riunione Generale del 27 ottobre 2001 e che verranno definitivamente precisate nella prossima Riunione Generale a Dublino nel settembre di quest’anno.

Ma è molto probabile che le cose non cambieranno e così sarà fino a che non cambierà l’uomo con le sue piccole vanità e le sue debolezze e fino a che non assisteremo all’impossibile avvento dell’utopistico Regno della Virtù. Così onorificenze e patacche continueranno a coesistere ad invidia od a scorno le une delle altre, le une a celebrazione dell’onore od a riconoscimento della reputazione, le altre a soddisfacimento della vanagloria o premio alla credulità.

Mentre nei giorni scorsi stavo ordinando le idee nella preparazione di questo scritto, mi tornava alla mente un sonetto di Shakespeare che ha attinenza con il tema presente per uno solo dei suoi versi, ma che vorrei ugualmente proporre perché ritengo di ritrovare in esso, attraverso il richiamo ai mali del mondo cui si oppongono quei valori che costituiscono il patrimonio del vero Cavaliere, un invito, un monito forse, a vedere non attraverso i fittizi luccichii degli onori ma attraverso i grandi valori della vita il vero significato della nostra esistenza.

 

Sonetto 66

Stanco di tutto questo, imploro da morte riposo,

Come, vedere il Merito nato a mendicare,

E squallida Nullità gaiamente agghindata,

E la Fede più pura miseramente tradita,

E i più splendidi Onori ignobilmente attribuiti,

E la casta Virtù brutalmente prostituita,

E nobil Perfezione iniquamente avversata,

E Forza mutilata dal potere corrotto,

E il Genio imbavagliato dall’Autorità,

E Follia, con arie dottorali, opprimere Saggezza,

E leale Franchezza chiamata Semplicità,

E il Bene schiavo servire capitàno Male.

Stanco di tutto questo, vorrei da questo esser lontano,

Se non, morendo, abbandonassi solo l’amor mio.

 

* Vice Presidente Anziano dell’I.A.G.I., membro della Commissione Internazionale permanente per lo studio degli Ordini cavallereschi.

1 G.C.Bascapè, Gli Ordini Cavallereschi in Italia. Storia e Diritto, Milano, Ceschina, 1972, pp.10-14

2 A. Pezzana, Conferimento di onorificenze da parte di c.d. Ordini Cavallereschi, Rivista Araldica, 60 (1962), pp. 155-163.

3 P.F. degli Uberti, Uso illecito di Ordini Cavallereschi, Onorificenze e Decorazioni, "Il Mondo del Cavaliere", 1(2001), pp. 11-13.

 4 Como se fabrican las ordenes falsas, Editoriale, "Hidalguìa", 31, 177 (1983), pp. 157-164.

 5 Trad. di A. Rossi in William Shakespeare. Tutte le opere, a cura di M. Praz, Firenze, Sansoni, 1964, p. 1261

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