Sono ancora necessarie le prove nobiliari?
Un tempo l’ammissione
negli Ordini Cavallereschi avveniva come tutti sappiano dietro rigorosa (ma non
sempre) prova nobiliare, almeno a quanto stabilito per l’Ordine di Malta dagli
statuti di frà Ugo di Revel del 1262; in sintesi il candidato doveva dimostrare
di vivere more nobilium e che così erano vissuti i suoi antenati per un certo
numero di secoli. Poche righe non possono essere esaustive per presentare la
nascita e l’evoluzione di questo processo nobiliare che sopravvive ancora oggi
sia nel Sovrano Militare Ordine di Malta, che nell’ammissione ai Capitoli nobili
spagnoli dell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme, e in altre
organizzazioni che sebbene ormai solo a titolo privato e non tutelate dalla
Santa Sede, vengono considerate Ordini Cavallereschi perchè patrimonio premiale
di Dinastie (se lo sono ancora) già sovrane. È innegabile la veloce evoluzione
della Società negli ultimi 60 anni che ha visto la caduta di varie monarchie e
quindi per contro nuove persone avvicinarsi a questo mondo cavalleresco che era
completamente ignorato nelle loro famiglie d’origine, ma che nell’immaginario
collettivo, particolarmente per i militari, riveste ancora un fascino romantico
che arriva a influenzarne anche le scelte di vita, portando a cercare con
l’ammissione in un Ordine Cavalleresco una “dovuta” promozione sociale. Nella
realtà quotidiana dobbiamo osservare che, statisticamente parlando, gli Ordini
Cavallereschi condizionano solo una piccolissima nicchia della vita sociale, e
sono considerati così irrilevanti da non essere presi seriamente in
considerazione dai media come argomento valido per il raggiungimento di
obiettivi concreti dalla politica all’economica ecc. Quindi per esaminare e
valutare il tema che vogliamo trattare dobbiamo subito chiederci: perchè in una
società che valuta unicamente il merito personale e non più la tradizione
storica familiare vengono tenute ancora in piedi queste anacronistiche prove
nobiliari, che nella realtà dei fatti sono la pantomima di quanto
rappresentavano in passato? In questa società ove sono cadute poco alla volta le
barriere sociali, economiche, culturali, o di costume che separavano certe
classi dalle altre, come è possibile considerare ancora valida la richiesta di
una vita more nobilium in un’epoca dove è ritenuto d’obbligo svolgere un lavoro
anche per coloro le cui famiglie, ancora in un recente passato, dovevano esserne
esenti (e in certi casi ancora oggi lo potrebbero)? Come si può poi considerare
come equivalente a quella del passato la prova nobiliare presentata oggi con
notevole semplificazione delle richieste in contrapposizione alle poderose
documentazioni pretese in tempi non recenti? Come si può valutare oggi in Italia
la nobiltà che non gode di alcuna tutela da parte dello Stato (ma possiamo
assimilare al nostro caso tutte le Nazioni che la avevano nella loro tradizione
storica), dopo che nel Paese è avvenuta un’importante evoluzione delle leggi a
partire proprio dalla famiglia? Sembra poi che affannosamente cerchino la prova
nobiliare pensando di farsi riconoscere uno status privilegiato quelle persone
che non figurano negli Elenchi nobiliari del Regno d’Italia e neppure nelle
tante storie o cronache locali, fatto che dimostra inequivocabilmente
l’inesistenza di peso storico della loro famiglia, se non addirittura la
ripetuta alterazione nobiliare che li porta a dirsi falsamente un ramo della
famiglia nobile storica che con loro divide solo il cognome! Peccato che questi
figuri (purtroppo ancora numerosi) non si rendano conto che l’alterazione
documentale - sempre clamorosamente smascherabile - non serve mai a cambiare la
storia né a porli magicamente allo stesso livello della famiglia a cui vogliono
ostinatamente attaccarsi...
Perchè non considerare oggi che ci sono già famiglie che da oltre 100 anni
vivono un perfetto more nobilium senza per questo essere mai stati nobili, nel
senso che noi attribuiamo alla parola sulla base del diritto nobiliare, e che
potrebbero pienamente accedere agli Ordini Cavallereschi in categorie riservate
ancora oggi a persone il cui passato familiare è ben diverso dalla reale
situazione sociale in cui si trova l’attuale loro discendente, spesso costretto
a lavorare anche in posizioni modeste nella nostra società. Ricordo un
controsenso udito in una trasmissione televisiva su Rai uno quando l’esponente
di una famiglia nobile faceva presente che oggi un “balì” normalmente viaggia
sul tram per andare a lavorare o spostarsi, e questo mi fa pensare a quanto mi
disse un caro parente, il dott. Franz Ubertis (1914-1986), ispettore generale
capo di Pubblica Sicurezza, quando da ragazzo al cimitero di Casale Monferrato
gli facevo notare che passava vicino a noi un anziano signore che assomigliava
al nonno. La risposta fu breve ma chiara: “Si, è vero, assomiglia fisicamente al
nonno, ma non è certo un signore, e tutti sanno che è un disonesto, mentre il
nonno lavorava gratis per tutti gli enti benefici della città, era molto colto e
non sputava certo per terra come ha fatto lui!”. In poche parole il nonno di
Franz, il dott. Ambrogio Ubertis (1848-1931), fondatore della Colonia Marina e
Alpina Casalese, era da considerarsi a pieno titolo uno che viveva nobilmente
anche se lavorava come Ufficiale Sanitario del comune di Casale Monferrato...